Science

Water Footprint

Negli ultimi decenni, a causa delle risorse limitate, la comunità internazionale ha posto sempre più attenzione ai consumi idrici di acqua “dolce” che le attività antropiche, ovvero le attività tipiche dell’uomo, possono causare.

[…]”La disponibilità di acqua dolce è uno dei problemi più grandi; tale disponibilità è influenzata da diversi fattori, tra cui la continua crescita della popolazione mondiale, i cambiamenti climatici e le attività industriali. Attualmente circa ⅓ della popolazione mondiale vive in regioni che presentano difficoltà di reperimento idrico”[…] (UNESCO, 2009).

La ragione principale di questa attenzione sta nel fatto che l’acqua dolce, sebbene rinnovabile, sia presente in quantità limitata in un numero crescente di regioni in
tutto il pianeta; secondo recenti studi solo lo 0,04% dell’acqua presente sul nostro pianeta può essere usata dall’uomo.

Anche l’interesse nel mondo delle imprese sta aumentando, infatti queste si trovano a dover affrontare rischi di natura ambientale e di mercato.  

Già verso la fine degli anni 90 iniziano i primi studi in merito (Allan et al., 1998), dove si tenta di quantificare i consumi idrici di determinati prodotti (approccio di “contabilità idrica” – accounting); tale concetto è stato integrato da Arjen Hoekstra (2002-2011), il quale sviluppò degli indicatori rappresentativi del consumo idrico in base alla disponibilità idrica. Nel 2014 è stato sviluppato uno standard accettato a livello internazionale (ISO 14046:2014) che supera ed integra il concetto di Water Footprint (inteso come bilancio idrico) e si muove verso ad un approccio di studio di impatto vero e proprio. Ulteriori approfondimenti si possono trovare sul sito della ISO (https://www.iso.org/standard/43263.html).

La metodologia di calcolo, intesa come bilancio idrico, permette alle aziende, ai governi e agli individui di monitorare i consumi e di pianificare le proprie s
celte. L’impronta idrica, o Water Footprint, è il
calcolo della quantità d’acqua (dolce) che un prodotto/organizzazione consuma, in maniera diretta o indiretta. Per consumo diretto, ad esempio, s’intende l’acqua che utilizziamo e che sgorga tutti i giorni dal rubinetto di casa, mentre per indiretta, o virtuale, s’intende la quantità di acqua che viene utilizzata per la produzione dei prodotti e dei beni che consumiamo. Tutto ciò che usiamo, indossiamo, compriamo e mangiamo è stato prodotto grazie all’uso di acqua.

Tale quantità di acqua può essere misurata per ogni singolo processo, per esempio quanta ne serve per far crescere il riso che serviamo in tavola oppure per ogni singolo prodotto (una maglietta richiede circa 2.700 litri di acqua) o può anche essere calcolata per sapere quanta acqua viene consumata da un determinato paese, in un bacino idrografico specifico o da una falda acquifera ben precisa.

L’impronta idrica viene misurata in volumi d’acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo.

Sappiamo che l’acqua dolce è una risorsa molto preziosa, estremamente limitata e distribuita in modo disomogeneo nel mondo, perciò è indispensabile limitare ogni suo spreco. Per esempio un’azienda, grazie ad uno studio di Water Footprint, può monitorare i consumi, individuare le operazioni più dispendiose in termini di “costo idrico” e così limitare gli sprechi nella produzione. A seconda del contesto di riferimento, l’impronta può essere misurata in metri cubi per tonnellate di produzione, per ettaro di terreno agricolo, per unità di valuta e in altre unità funzionali. L’impronta idrica ci aiuta a capire per quali scopi, le risorse d’acqua dolce limitate, vengono consumate e inquinate, l’impatto che ha dipende da dove l’acqua viene trattata e quanta ne viene consumata.

 

Attualmente sono due le metodologie più diffuse per il calcolo dell’impronta idrica; una è la metodologia del Water Footprint Network (http://waterfootprint.org/en/) che definisce il water footprint a livello di inventario (o “contabilità idrica”) e l’altra metdologia, sviluppata dal WULCA (http://www.wulca-waterlca.org/) che definisce il water footprint a livello di studio d’impatto basato su un approccio di ciclo di vita.

La metodologia del Water Footprint Network ha come obiettivo primario la risoluzione del problema della gestione idrica con approccio globale e si sviluppa in 4 fasi:

  1. la definizione dell’obiettivo e lo scopo dello studio;
  2. La quantificazione e localizzazione dell’impronta idrica di un prodotto o di un processo nel periodo di riferimento (Water Footprint Accounting);
  3. La valutazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica dell’impronta idrica (Water Footprint Sustainability Assessment);
  4. Individuazione delle strategie di riduzione della stessa.

 

L’impronta idrica è formata da tre diverse componenti: verde, blu e grigio. Insieme, questi componenti, forniscono un quadro completo del consumo di acqua.


La metodologia del WULCA  ha come obiettivo primario la risoluzione del problema della gestione idrica a livello locale e considera la Water
Footprint come un
profilo completo di tutti i potenziali impatti ambientali relativi all’uso di risorse idriche.

Mercato e acqua

L’acqua dolce è assolutamente indispensabile per la vita, e così come cresce la popolazione mondiale cresce, cresce anche il consumo d’acqua. Serve più acqua nelle case di tutti, per bere e lavare, ma nei paesi in via di sviluppo, come india e Cina, serve più acqua per produrre alimenti e prodotti, andando a incidere pesantemente sulle risorse idriche. Entro l’anno 2025, gli esperti prevedono che ⅔ della popolazione mondiale vivrà in condizioni di stress idrico (UN, 2009) . Anche gli impatti del cambiamento climatico non migliorano la situazione, perché possono aumentare la probabilità di modifiche al ciclo dell’acqua, portando a periodi prolungati di siccità, o viceversa potenti alluvioni.  Secondo i dati presentati dal WWF, solo in Italia ogni individuo consuma in media 380 litri d’acqua al giorno per gli scopi domestici, e 6400 litri per produrre indumenti e cibi, per un totale di circa 2334 metri cubi d’acqua a testa all’anno.

“L’interesse per l’impronta idrica è radicata nel riconoscimento del fatto che l’impatto umano sui sistemi di acqua dolce possono in definitiva essere collegati al consumo umano, e che questioni come la scarsità d’acqua e l’inquinamento possono essere meglio compresi e affrontati da considerare catene di produzione e fornitura nel suo complesso – dice il professor Arjen Y. Hoekstra – i problemi idrici sono spesso strettamente legati alla struttura dell’economia globale. Molti paesi hanno notevolmente esternalizzato la loro impronta idrica, l’importazione di merci ad alta intensità di acqua da altrove. Questo mette sotto pressione le risorse idriche nelle regioni esportatrici, dove troppo spesso i meccanismi di governance dell’acqua razionale e la conservazione sono carenti. Non solo i governi, ma anche i consumatori, le imprese e le comunità della società civile possono svolgere un ruolo nel raggiungimento di una migliore gestione delle risorse idriche. ” Per esempio sappiamo che l’impronta idrica del Giappone, di 1150 metri cubi all’anno pro capite, per il 65% ricade al di fuori dei confini nazionali. Il che vuol dire che il Giappone ha un alto consumo di servizi e prodotti realizzati all’estero con risorse idriche straniere.

http://waterfootprint.org/en/resources/interactive-tools/product-gallery/ per altri prodotti.

 

Alcuni esempi e dati di come l’acqua viene utilizzata:

  • La produzione di un chilogrammo di carne di manzo richiede circa 15’000 litri di acqua (93% verde, 4% blu, 3% impronta idrica grigia). Vi è una grande differenza intorno a questa media globale. L’impronta precisa di un pezzo di carne dipende da fattori quali il tipo di sistema di produzione e la composizione e l’origine del mangime della mucca.
  • L’impronta idrica di un hamburger di soia 150-programma prodotto nei Paesi Bassi è di circa 160 litri. Un hamburger di manzo dallo stesso paese costa in media circa 1000 litri.
  • L’impronta idrica del consumo cinese è di circa 1070 metri cubi all’anno pro capite.
  • L’impronta idrica dei cittadini degli Stati Uniti è 2.840 metro cubi all’anno pro capite.
  • L’impronta idrica globale dell’umanità nel periodo 1996-2005 era 9087 miliardi di metri cubi all’anno (74% verde, 11% blu, 15% grigio). La produzione agricola contribuisce 92% a questo totale impronta.
  • La scarsità d’acqua colpisce oltre 2,7 miliardi di persone per almeno un mese ogni anno.